David Zonta – Torino –
Le slitte e i bob scivolavano veloci sopra la coltre di neve. Eravamo tanti ragazzini in cima a quel prato bianco, morbido come panna montata, pronti a lanciarci giù per la discesa, sfidandoci l’un l’altro, su chi arrivava primo.
Rubavamo, per meglio dire, prendevamo in prestito, i cartelloni dei gelati appesi fuori dai bar, quelli rettangolari, di latta. Quelli sì, che erano veloci, con quelli sotto al sedere vincevi quasi sempre. Anche se c’era sempre uno da battere, il bullo di paese, che aveva il cartello dell’Algida, quello più veloce di tutti, con l’immagine ingrandita della coppa rica all’amarena..e va beh, così è facile vincere! Tutti i pomeriggi così, su e giù per quel prato al centro del paese, a consumar tutta la neve, fino a quando calava la luce, e si udivano i richiami delle mamme da finestre e balconi. E giù a ridere, su questo o quel richiamo, sulla voce stridula della mamma di tizio, o su quella esasperata di Caio.
Allora l’inverno era accolto con grande entusiasmo. Lo si aspettava dalla fine dell’estate, dopo aver disputato estenuanti ed infiniti tornei di calcio a sette, a cinque, ma anche a quattro, a tre, fino a giocare a porta libera, in due, l’uno contro l’altro. E così finalmente, via alla stagione agonistica invernale. Durava finché c’era neve, fino a quando non la si consumava tutta, facendo emergere un prato marrone, spelacchiato. Ma il vero triste segnale della fine dei giochi invernali era annunciato dalla natura. In fondo alla discesa, nell’ultima neve rimasta intatta vicino agli abeti, spuntavano dei curiosi fiori bianchi. Piccoli, a gruppetti, poche foglie e una testa mesta rivolta all’ingiù. Era il bucaneve. Che odio, che rabbia! “Ma proprio ora che stavo per scavalcare il bullo in classifica!”. Il bucaneve era la campana della fine dei giochi, la cerimonia olimpica di chiusura.
Ho impiegato del tempo a perdonarlo quello li, quel fiore così prepotente, coraggioso e forte al punto da bucare la neve e metter fine ai nostri giochi. Col passare degli anni, una volta abbandonata l’attività agonistica, ho imparato a guardarlo con occhi diversi, provando grande rispetto. E’ un fiore che dichiara orgoglioso il suo coraggio e la sua forza, che è capace di esprimere la sua bellezza con un lieve profumo, quasi mielato. Un fiore che sancisce la fine dell’inverno annunciando l’inizio della primavera. La fine dei colori spenti e il preludio all’esplosione di quelli accesi. La fine del freddo, l’arrivo del tepore e, con una lettura più introspettiva, la fine di un periodo buio e l’arrivo della luce.
Domani festeggiamo la befana, e non a caso parlo del bucaneve. La befana che regala cose semplici, le caramelle, i mandarini e il carbone dolce, in segno di sberleffo, come il bucaneve alla compagine olimpica invernale. La befana incarna l’anno vecchio che se ne va per lasciare posto al nuovo, la nostra pianta, il cambio di stagione. Il bucaneve come rinascita, simbolo di vita e speranza, ideale per festeggiare i cambiamenti e i nuovi propositi.
Il Bucaneve è una bulbosa che ama il fresco, l’umido e non sopporta la troppa luce. Piantate i bulbi a settembre, a gruppi, sotto le fronde di un albero, o in vaso, ma vi esorto ad andare, verso fine mese, ad osservarlo nei prati, sia chiaro, senza coglierlo. Come fecero, invece, i sudditi della regina Elisabetta che, su suo ordine, vennero a prelevarlo nelle zone a ridosso delle Alpi italiane, per portarlo in patria e diffonderlo nei loro prati.
Che poi, se fossero venuti in quel prato a coglierli, quello dei miei ricordi, sai che sfida con la Gran Bretagna?