David Zonta, Torino
Arriva quel momento nella vita in cui ti guardi allo specchio e ti accorgi che stai invecchiando. E’ un giorno qualunque, come tanti altri, però chissà perché davanti a quello specchio, in quel giorno preciso, ti scopri cambiato.
Vedi rughe mai viste, i capelli grigi sono di colpo triplicati, persino i tuoi occhi, che sono sempre stati il tuo pezzo forte, paiono essere mutati.
Vi invito a lasciarci per un momento davanti al nostro specchio abbracciati nello sconforto, e a scendere a fare due passi fuori, in piazza, e più precisamente nel centro di Torino.
In questo weekend Via Roma, Piazza San Carlo, i Giardini Sambuy e la Galleria San Federico, hanno ospitato FLOR nella sua versione autunnale. Per chi non lo sapesse, FLOR è la manifestazione del verde più importante di Torino, è una grande, immensa carovana fiorita in cui trovare piante e fiori per tutti i gusti, dibattiti, presentazioni, leccornie da gustare, accessori per il giardinaggio, e chi più ne ha, più ne metta. Ora, girovagando tra i tanti banchi per un’intera mattinata, ho avuto il piacere di fare piacevoli incontri, sia con varietà di piante, la cui bellezza oggettivamente mi vien difficile descrivere, sia con persone, alcune che già conoscevo, altre che ho avuto il piacere di conoscere, e altre ancora, invece, con le quali ho solo incrociato lo sguardo.
Ecco, proprio su quest’ultimi vorrei porre la mia attenzione: gli sguardi. In questo weekend ho incrociato tanti sguardi mentre camminavo, cosa tutt’altro che scontata e, soprattutto, non è stata una cosa immediata. Per come sono fatto, in una situazione come Flor difficilmente riesco ad accorgermi del mondo umano che mi gravita attorno. Vedo solo piante, e fiori, e foglie, rami, bacche, frutti e così via, in un vortice di euforia fuori controllo che quasi mi robotizza.
Ma ieri e oggi è stato diverso e il fuoco sacro dell’amore per le piante è stato meno impetuoso, più equilibrato, e non mi ha accecato. Si respirava un’aria bellissima d’autunno illuminata da un bel sole e da un cielo limpido. Guardavo i colori delle foglie delle migliaia di piante esposte, guardavo le innumerevoli bacche presenti, le rose profumate, le clematidi in fiore, e ancora dalie e crisantemi dai colori talvolta fluorescenti. Ho visto, però, anche tante persone dagli occhi felici che emanavano serenità. Persone felici di aver trovato delle piante per arricchire il proprio balcone o davanzale, persone con il sacchetto arboreo pendente da una parte, e mano nella mano dall’altra. E in questo marasma emozionale ho trovato il mio modo e la mia risposta a quello specchio, quello del mattino, semplicemente provando a mettere in relazione le piante e gli esseri umani, partendo, questa volta, dalle piante.
Le piante d’autunno hanno un fascino particolarmente bello, struggente e un poco malinconico. Le foglie, dopo una stagione di intenso lavoro, portano i segni della fatica. Buchi, tagli, ferite e seccumi vari caratterizzano e contraddistinguono le piante in autunno. I fiori, quando ci sono, ci ricordano cosa sono stati per tutta la stagione, mentre le bacche, invece, si mostrano per dirci cosa potrebbero diventare trasformandosi in semi. Alcuni rami sono spezzati e spesso i tronchi presentano bitorzoli e imperfezioni.
Da ciò che sto descrivendo si dovrebbe poter affermare, quindi, che l’autunno sia letale per le piante in quanto imbruttisce e invecchia, giusto? E allora perché lo amiamo nonostante tutte queste imperfezioni e brutture di fine stagione, segni evidenti di una passata gioventù? Voglio dire, perché alle piante d’autunno concediamo e riconosciamo l’onore della bellezza nonostante tutto, mentre con noi stessi siamo talvolta così spietati da non accettare il tempo che passa e che segna il nostro corpo?
Io, in questo weekend, la risposta l’ho trovata, ancora una volta, in questo mondo fatto di foglie, fiori e corteccia. Un mondo che non smette mai di stupirmi e che mi mostra e mi insegna come prepararmi all’inverno, accettando le mie rughe, in attesa di una nuova ed entusiasmante fioritura primaverile.