Alcuni alberi, guardandoli da vicino, ti ricordano qualcosa o qualcuno, e spesso il riconoscimento non è immediato, ma avviene poco a poco. Non capisci il motivo per il quale ti senti tanto attratto da quell’insieme di legno, corteccia, foglie e talvolta di fiori, ma non puoi fare a meno di tornare e ritornare con lo sguardo su quella pianta, come se ti stesse chiamando e ti stesse dicendo “ehi, svegliati, apri gli occhi, non mi riconosci?”.
Succede anche a voi?
Mi vengono alla mente quelle immagini nelle quali devi perderci gli occhi dentro per vedere in genere un oggetto o un animale. Si chiamano stereogrammi e sono, Wikipedia dixit, “immagini stereoscopiche piane bidimensionali fatte per fornire una illusione di profondità”. Per vederle è necessario convincere la mente a mettere a fuoco qualcosa che si trova oltre lo schermo o il foglio, pur guardandolo. Se ci si riesce, se si riesce ad entrare nell’immagine, allora si potrà riconoscere il disegno nascosto.
Anni fa, durante un corso di formazione d’arte floreale sul colore, ci fecero passare tra i banchi la stessa identica immagine stereoscopica chiedendoci di scoprire l’animale che si celava all’interno. Fui tra i pochi a riconoscere il delfino, in quanto, il resto della classe rimase fuorviato dal colore che ricopriva quella cartolina: il rosso. Di lì a poco, poi, il delfino rosso lo riconobbero tutti, era di fatto abbastanza evidente, ma di quel colore nessuno se lo aspettava. Se fosse stato azzurro chiunque l’avrebbe immediatamente notato.
Perché vi ho raccontato questo aneddoto? Perché penso che troppo spesso noi adulti siamo ingabbiati in un sistema di decodificazione di ciò che vediamo e che diamo per scontato: un albero è un albero, una nuvola è una nuvola, e via dicendo. Viviamo una vita che va di corsa e sempre più veloce ci costringe a rincorrere il tempo, e per raggiungerlo perdiamo non pochi decimi di vista da entrambi gli occhi. Per intenderci, perdiamo la capacità di vedere quel delfino rosso, tanto siamo sopraffatti dall’affannoso proposito di riuscire a fare tutto (troppo) e in tempo.
Ci perdiamo o dimentichiamo, il modo incantato e sognante, tipico del fanciullo, di osservare le cose che lo circondano. Noi, esseri umani, tanto adulti e maturi, talvolta, non riusciamo nemmeno ad accorgerci delle persone che abbiamo attorno.
E allora voglio ritornare a quell’albero, a quello che ho incontrato questa mattina. Quell’albero mi ha chiamato e mi ha strizzato l’occhio, anzi, mica solo uno, erano tanti occhi. Un bellissimo albero di cachi o kaki, pesantemente ricoperto di frutti maturi, che colorava d’arancio il cielo azzurro e terso tipico di questa stagione. In quell’albero, per la prima volta oggi, ci ho visto tanti pagliaccetti comodamente alloggiati sui rami duri e spogli, rami che, fino a un paio di mesi fa, sostenevano una folta chioma verde colma di foglie. Avvicinandomi poi ho capito, almeno così penso, e ho riso, ho riso tanto.
In questo periodo, nel quale molti alberi si preparano al letargo, lasciandosi congelare dal freddo inverno, le piante di cachi inscenano il loro personale spettacolo ospitando tanti piccoli clown con il naso colorato d’arancio (badate bene, non di rosso, come il delfino), che si divertono come matti a fare scherzi ai passanti. In questi giorni, con gli alberi di cachi presi d’assalto dai clown, potreste rischiare di essere colpiti da un naso, o un frutto, come lo si voglia vedere, e se vi cade un frutto addosso in questi giorni sarà letale per il vostro bel cappotto! A me questa visione mi fa scassare, e mi pare di sentirlo il loro sghignazzare dopo essere andati a bersaglio.
Durante l’estate, nel periodo di maturazione quando i nasi sono ancora verdi e c’è vento, si sentono dei tonfi a terra, e chi ha un albero di cachi in giardino lo può confermare, che sembrano un bombardamento. Sono loro, i clown, che affinano la mira in attesa che i tempi (e i nasi), diventino maturi.
Di questi tempi in cui tutti noi mangiamo pane e angoscia mi viene davvero da ringraziarli questi alberi qui, gli alberi dei clown tristi che infondono allegria e che hanno ancora e sempre voglia di scherzare, per fortuna.